mercoledì 1 giugno 2011

Benedetto Gravagnuolo sulle primarie


IO, IL PD E LE RAGIONI DELLA MIA DELUSIONE
di BENEDETTO GRAVAGNUOLO
da il Corriere del Mezzogiorno del 1 giugno 2001

Ha scassato e ha vinto. Luigi de Magistris sarà il sindaco di Napoli per i prossimi cinque anni, reso ancor più forte dall'eclatante consenso conquistato al ballottaggio. La legge elettorale gli ha peraltro conferito il premio di un'ampia maggioranza, pari al 60% dei consiglieri comunali, nonostante che la coalizione politica a suo sostegno abbia raggiunto solo il 17% dei consensi nella prima tornata elettorale del 15 maggio. Senza contare che la formula dell'elezione diretta consegna il potere nelle mani di un «autocrate», che non dovrà dar conto ai partiti, ma solo alla sua coscienza. Non resta che augurarsi che il nuovo sindaco mantenga le promesse, affrontando con tempestività le sfide del buon governo, dalla raccolta differenziata al prolungamento dell'orario dei trasporti, dalla lotta all'abusivismo edilizio al recupero del centro storico e delle periferie. Pur avendo a mia volta votato de Magistris al ballottaggio per una scelta di campo, non mi associo al coro plaudente dei vincitori. Ritengo anzi che da questa elezione sia uscita sconfitta l'idea riformista di una gestione democratica dello sviluppo della città. La débâcle di tale visione urbana è avvenuta però ben prima delle elezioni di maggio, con la farsa delle primarie dello scorso gennaio. Forse non è inutile ritornare a riflettere sulla gravità degli errori commessi dai soloni del Partito democratico in quell'occasione. Il «senno di poi» è un vecchio rito praticato dai dirigenti di partito che, dopo aver sbagliato tutte le mosse, si ergono ad acuti esegeti delle ragioni della disfatta, illuminati da tardivi bagliori di lucidità autocritica. Non per spargere sale su una ferita non rimarginata, ma solo per un'ostinata passione negli ideali della democrazia, avendo creduto nelle «primarie di coalizione» fino al punto di investire un euro insieme ad altri quarantaquattromila liberi cittadini, vorrei provare a chiarire i motivi della mia profonda delusione. Parto da un'elementare constatazione. Non solo a Milano, ma anche nelle altre città (da Torino a Bologna) dove le primarie sono state gestite nel rispetto delle regole del gioco, il Partito democratico ha conseguito ottimi risultati elettorali. A Napoli invece le regole sono state calpestate fin dal fischio d'inizio. Non va dimenticato che il 27 novembre dello scorso anno, alla scadenza dei termini per la presentazione delle candidature, erano state dichiarate le disponibilità solo da Nicola Oddati e da Umberto Ranieri, vale a dire da due esponenti dello stesso Pd. Per quel che può valere, ritengo che sia stato ragionevole riaprire i termini al fine di consentire l'allargamento della coalizione ad altre forze di sinistra, al patto però di usare il cartellino rosso nei confronti di un terzo candidato dello stesso Partito democratico. E ciò a maggior ragione tenendo conto che nel caso specifico Andrea Cozzolino era stato eletto solo l'anno prima al Parlamento europeo. Ai dirigenti nazionali spettava il compito di provare a creare armonia, pacificando i conflitti interni, piuttosto che assistere con distacco al gioco al massacro delle faide locali. E, in ogni caso, una volta consentito un regolamento di conti senza esclusioni di colpi bassi, tanto valeva proclamare il vincitore, lasciando al Collegio di Garanzia la responsabilità di valutare nel merito l'eventuale fondatezza dei ricorsi. La peggiore soluzione è stata quella di scegliere di non scegliere e di imporre dall'alto un volenteroso «commissario» come Andrea Orlando, inviato da Roma per gestire il partito in sostituzione di Nicola Tremante, e di nominare come «candidato» una figura di alto profilo morale, ma privo di appeal elettorale, quale Mario Morcone. Ciò che è stata sottovalutata è l'indignazione dei militanti e dei simpatizzanti, che non sono un gregge che segue pedissequamente le direttive del pastore di turno, ma una moltitudine di individui pensanti che vorrebbero partecipare criticamente alle decisioni. Alla fine, al pueblo unido della sinistra, Luigi de Magistris è apparso il vincitore morale di quelle primarie sui generis rappresentate dalla prima tornata delle vere elezioni amministrative. Sbagliare è umano, ma perseverare sarebbe diabolico. Il Pd si è ridotto a Napoli al 16,5%. E un dato che potrebbe ancora peggiorare alle prossime elezioni politiche, senza una drastica svolta. Per rifondare il Partito democratico non è sufficiente cacciare dal tempio i mercanti di tessere e i broker di voti. È necessario risollevare la bandiera dei valori democratici che è stata ammainata. Al liceo ci faceva sorridere il paradosso dell'imperatore Caligola che nominò un cavallo senatore. È strano che un paese civile non si ribelli dell'assurdità del potere assoluto raggiunto da un cavaliere che nomina ad libidum non solo i deputati e i senatori, ma anche i canditati sindaci (benché perdenti) delle città italiane. I dirigenti di un partito che si autoproclama democratico, prima di soccombere, dovrebbero almeno provare a proporre al parlamento una riforma elettorale del «porcellum» che restituisca ai cittadini il diritto di scegliere gli eletti, oltre a ripristinare alcuni principi basilari delle democrazie occidentali, dall'acqua pubblica alla legge è uguale per tutti. A meno di voler lasciare ai teletribuni degli opposti populismi di captare l'onda montante della civile ribellione, in un mercato della politica ridotta a insulti, a barzellette e a spot pubblicitari escogitati da fantasiosi spin-doctors. 

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